Dopo anni di “battaglie” fra categorie, dove l’una cercava di legiferare per l’altra, il nodo è giunto al pettine.
In Italia, dal fronte taxi e dei vari alleati che cambiavano, di volta in volta, in base all’interesse economico, si è sempre rincorso l’inciucio elettorale per mettere limitazioni agli spostamenti di chi potrebbe essere un concorrente.
Trovandosi con le spalle al muro, la controparte ha deciso di spostare la partita in Europa.
Nello specifico, un’azienda di autonoleggio con conducente ha conseguito autorizzazione in Slovenia ed avvalendosi delle norme comunitarie, ha cercato di immatricolare i mezzi in Italia su succursali locali.
Il M.I.T., attraverso la motorizzazione civile, non aveva concesso l’autorizzazione ed al resto avevano provveduto gli organi di controllo col fermo amministrativo di 60gg (altra immensa ingiustizia dove la pena va molto, troppo, oltre l’eventuale reato).
Il ricorso al Tar era la conseguenza più logica ed il verdetto non lascia spazio ad intepretazioni.
Chiaramente potrebbe esserci un “secondo tempo” della partita, l’ultimo, da giocarsi al consiglio di stato ma, in tale caso, l’unico eventuale ricorrente potrebbe essere il M.I.T., quindi lo Stato, e uno Stato degno di un paese civile, prima di ricorrere in tal senso cercando cavilli per aggirare le norme comunitarie, dovrebbe interrogarsi sulle storture che hanno portato a tutto ciò; magari tentando anche di porvi rimedio.
Quando una categoria fa gola alla politica e ne diventa consapevole, pone l’asticella sempre più in alto e, complice l’ingordigia, non si preoccupa del punto di “collasso”.
Risultato?
Mentre in Italia non ci si poteva spostare da comune a comune, fino alla sentenza della Corte costituzionale, e non si possono aprire succursali (per ora), un’ azienda Europea, non italiana chiaramente, può fare impresa come dove e quando vuole.
Litigandosi l’osso a difesa del proprio orticello probabilmente si è spalancato il portone di casa e c’è poco da gioire. Prima o poi però doveva finire il gioco costruito su un malaffare, che permetteva di fare soldi su un bene PUBBLICO, diventato praticamente legale in virtù dei tanti che a causa di esso si erano indebitati.
Invece di perseguire chi aveva iniziato a vendere, in nero, le autorizzazioni pubbliche si è deciso di tutelare chi le aveva acquistate rendendo pseudolegale il tutto.
Solo in Italia poteva accadere come solo in Italia poteva accadere che ogni anno si cercasse di rendere DISOCCUPATO chi fa impresa da decenni in modo corretto, nel rispetto delle norme e in regola col fisco.
L’unica “macchia” dunque sarebbe lo status di concorrente che incide sull’oscillazione del valore delle autorizzazioni mentre un illecito tollerato è diventato il fulcro del sistema finendo per regolare persino le norme che riguardano la concorrenza.
Diatribe di questo genere sono “pane” per la politica ma il voto di scambio che da sempre l’alimenta era un po’ sfuggito di mano diventando opprimente anche per chi da sempre lo ha cavalcato e che, pur volendo, non riusciva a tirarsene fuori.
Alla fine, nel bene o nel male, i panni sporchi ce li siamo fatti lavare da fuori e non sarà positivo per gli uni e nemmeno per gli altri ma probabilmente, anche se è già troppo tardi, servirà a creare una Categoria che al posto dei singoli orticelli dovrà guardare al proprio futuro…probabilmente!
Sentenza Tar del Lazio del 11 Agosto 2021